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IX. FENOMENI DI ASSESTAMENTO DEI 
RIFIUTI SOLIDI URBANI: EFFETTI E 
POSSIBILITA’ DI CONTROLLO 
 
MARCO FAVARETTI; STEFANO MAESTRINI 
 
Dipartimento IMAGE, Università di Padova, Via Ognissanti 39, 35129 Padova 
 
SOMMARIO. Il rifiuto solido urbano è un composto fortemente eterogeneo, con caratteristiche 
di variabilità difficilmente prevedibili. Esso presenta un’elevata deformabilità di insieme, dovuta 
sia alla caratteristiche fisiche e meccaniche dei suoi componenti, sia alla decomposizione 
biochimica subita dalla sostanza organica. Vengono di seguito illustrati alcuni modelli di 
previsione dei cedimenti di ammassi di RSU e le principali metodologie di intervento per 
limitare lo sviluppo di eccessivi fenomeni deformativi all’interno della discarica. 
 
1. INTRODUZIONE 
 
La progettazione di una discarica controllata richiede che vengano affrontati in modo organico i 
numerosi problemi di stabilità che si possono verificare all’interno dell’ammasso di rifiuti. 
L’approccio a questo tipo di problemi non è dei più facili essendo il rifiuto un materiale 
fortemente deformabile, eterogeneo ed anisotropo, la cui composizione può variare in funzione 
del Continente, dello Stato, della Regione e perfino del Comune considerato. 
La componente organica eventualmente presente è inoltre soggetta a fenomeni di 
degradazione, per cui le sue caratteristiche e la sua consistenza risultano estremamente variabili 
nel tempo. La complessità del problema viene evidenziata nella Fig.1 (Grisolia et al, 1995). 
Le grandi deformazioni, sia istantanee, sia dilazionate nel tempo, alle quali è soggetto un 
cumulo di rifiuti in una discarica controllata pongono seri problemi progettuali e gestionali, 
dovuti anche al fatto che i cedimenti sono di entità variabile da punto a punto e pertanto del tipo 
“differenziale”. All’interno di una discarica, dunque, si verificano rilevanti effetti distorsivi, che 
possono portare alla: 
• rottura dei dispositivi di raccolta e rimozione del percolato e del biogas; 
• rottura della copertura finale e dei dispostivi di raccolta e rimozione dell’acqua superficiale; 
• difficoltà nel recupero finale dell’area (Sowers, 1973); 
• difficoltà nello stimare la capacità totale effettiva della discarica. 
Gli elevati cedimenti a cui sono soggetti i rifiuti e la loro disomogeneità possono produrre 
variazioni della pendenza di progetto della copertura finale, con accumuli locali di acqua 
piovana e nei casi più drammatici con il raggiungimento di stati limite di rottura. 
Questi fenomeni possono essere più rilevanti lungo la fascia perimetrale della discarica, dato 
che le deformazioni differenziali raggiungono intensità maggiori per due principali motivi 
(Morris, 1990): in primo luogo poiché ivi risulta più difficile la compattazione del rifiuto; 
secondariamente perché la profondità media effettiva del terreno di copertura è minore che nel 
centro della discarica; di conseguenza il rifiuto depositato ai margini è meno denso e più 
compressibile. 
Convegno Nazionale “Chiusura e post-chiusura delle discariche controllate” 
Castelfranco Veneto, Treviso; 24-25 Settembre 1998 
 1998 CISA, Centro di Ingegneria Sanitaria Ambientale, Cagliari 
 
 
Figura 1.Fenomeni di instabilità in una discarica di RSU (Grisolia et al, 1995) 
 
Per limitare gli effetti di questa densità disuniforme è possibile procedere a: 
• l’inspessimento dello strato di copertura ai margini; 
• l’aumento della pendenza ai bordi della copertura, ponendo comunque attenzione 
all’insorgere di eventuali fenomeni di instabilità o erosione. 
 
Per ridurre la compressibilità iniziale dei rifiuti si può ricorrere ai metodi di pretrattamento 
meccanico, biologico o termico dei rifiuti. E’ comunque evidente che ognuno di questi interventi 
comporta un grande lavoro organizzativo legato al censimento dei rifiuti, alla loro separazione 
ed all’individuazione della tecnica di pretrattamento più idonea. 
Importanti risultati possono essere ottenuti anche dall’ottimizzazione dei sistemi di 
coltivazione della discarica e di posa in opera. Bisogna, infatti, affinare i sistemi di 
compattazione iniziale dei rifiuti: speciali rulli compattatori (Sowers, 1973) con peso variabile 
fra le 12÷50 t possono apportare notevoli vantaggi su strati di altezza iniziale fino a 2÷3 m. 
Occorre comunque porre molta attenzione al peso dei rulli utilizzati: se il peso è eccessivo 
possono, infatti, verificarsi fenomeni di superamento della capacità portante della massa dei 
rifiuti. 
Sostanziali ed importanti miglioramenti possono essere conseguiti disponendo in modo 
razionale e controllato i diversi tipi di materiale. Utilizzare gli elementi cosiddetti inerti stabili 
per creare elementi più rigidi nell’ambito dell’ammasso può costituire un utile provvedimento di 
controllo dei cedimenti. 
Ultimo tipo di intervento è quello relativo al controllo ambientale dei processi che regolano la 
decomposizione della sostanza organica: sommergere completamente la discarica in acqua, con 
nessuna opportunità di circolazione di liquidi, o mantenerla, al contrario, completamente asciutta 
possono avere lo stesso effetto di inibizione dell’azione biochimica e dei conseguenti processi di 
decomposizione della sostanza organica. 
 
2. I CEDIMENTI DI AMMASSI DI R.S.U. 
 
Il rifiuto solido urbano è caratterizzato da un’elevata deformabilità, dipendente da una serie di 
fattori quali (Edil et al, 1990) (Grisolia et al, 1993): 
• la composizione iniziale; 
• il contenuto di sostanza organica; 
• l’età del rifiuto; 
• la densità iniziale o l’indice dei vuoti iniziale; 
 IX - 2
• il metodo di posa in opera; 
• l’altezza del cumulo dei rifiuti; 
• la quantità di materiale usato per la copertura giornaliera; 
• la produzione di percolato, il suo livello sulla barriera impermeabilizzante di fondo e la sua 
permeabilità all’interno della massa dei rifiuti; 
• i fattori ambientali, quali il grado di umidità, la temperatura, la produzione di biogas ed il suo 
grado di smaltimento. 
Tutti questi fattori non sono indipendenti tra loro pur influenzandosi l’un con l’altro (Fig. 2). 
 
 
Figura 2. Fattori che regolano la deformabilità di un cumulo di rifiuti (Grisolia et al, 1995) 
 
Da sottolineare infine l’azione dell’acqua (o di altri liquidi) presente nell’ammasso di RSU, 
che può condizionare la deformabilità complessiva del cumulo, sia quella dei singoli 
componenti. Variazioni del contenuto d’acqua possono modificare le caratteristiche intrinseche 
di alcuni elementi idrosensibili (carta ed i suoi derivati) e le condizioni ambientali dalle quali 
dipendono l’entità e la velocità dei processi di degradazione della sostanza organica (Grisolia et 
al, 1995). I fenomeni che regolano la deformabilità dei rifiuti solidi urbani sono numerosi e 
complessi. Ciò è dovuto alla natura stessa dei rifiuti e, precisamente, all’eterogeneità della loro 
composizione, alla instabilità fisico-chimica dei componenti organici, al ruolo dei fluidi in essi 
compresi, ecc.. 
Il rifiuto è un mezzo multifase, composto da tre fasi distinte: solido, liquido e gas. La frazione 
solida può essere così schematicamente differenziata (Grisolia et al, 1993): 
• inerti stabili: comprendono ceramiche, vetri, metalli, terre e simili; 
• altamente deformabili: gomma, plastica, tessili e carta; 
• biodegradabili: rifiuti organici, vegetali e legno. 
I meccanismi che determinano lo sviluppo della deformazione di un RSU possono essere così 
illustrati (Sowers, 1973): 
• meccanico: distorsione, flessione e riorientazione delle particelle, meccanismo simile alla 
consolidazione delle terre organiche; 
 IX - 3
• erosione e trasporto: migrazione degli elementi più piccoli all’interno dei vuoti presenti nei 
materiali di dimensioni maggiori; 
• variazioni fisico-chimiche: corrosione, ossidazione e combustione; 
• decadimento biochimico:fermentazione e decomposizione, in condizioni sia aerobiche che 
anaerobiche; 
• interazione: il metano prodotto dalla decomposizione può favorire la combustione, 
accendendosi spontaneamente grazie al calore prodotto dalla biodegradazione; gli acidi 
organici possono favorire la corrosione; i cambiamenti di volume dovuti al primo 
meccanismo possono favorire il secondo. 
Il rifiuto cede e si deforma sia a causa del peso proprio che sotto l’azione di carichi esterni, quali: 
• lo strato di copertura giornaliera; 
• ulteriori strati di rifiuti; 
• la copertura finale; 
• eventuali costruzioni in fase di recupero finale dell’area. 
Sebbene la deformabilità di questo materiale non sia regolare, essa manifesta molte analogie 
con quella delle terre organiche, soprattutto le torbe. 
Nella fase iniziale di un’ideale prova di compressibilità su un campione medio di rifiuti si può 
ritenere, ragionando in termini di volume occupato, che gli elementi più deformabili e 
degradabili siano prevalenti sugli inerti. Il contatto diretto fra questi ultimi sarebbe limitato a 
pochi punti. Al crescere del carico applicato gli elementi molto deformabili producono la 
maggior parte della diminuzione del volume dell’ammasso. Gli inerti stabili tendono invece a 
traslare all’interno del cumulo fino a ad una configurazione pressoché definitiva. La sostanza 
organica e i materiali deformabili impediscono in questa fase il contatto diretto fra più elementi 
stabili. Con il passare del tempo, la deformazione del cumulo dipende dallo sviluppo di fenomeni 
viscosi (creep ossia deformazione lenta a carico costante) e dalla trasformazione della sostanza 
organica. La rilevanza e la durata di questi fenomeni dalla composizione del rifiuto, dai carichi 
applicati e dalle condizioni ambientali più o meno favoriscono la biodegradazione. Una volta 
esauriti tutti i processi di decomposizione la rigidezza e la compressibilità del cumulo potranno 
essere simili a quelli di un terreno sciolto naturale (Grisolia et al, 1995b). 
La Figura 3 riporta una curva di consolidazione ideale di un ammasso di RSU, ottenuta 
dall’interpolazione di dati sperimentali di laboratorio: essa presenta notevoli analogie con quelle 
ottenute con alcune terre naturali contenenti sostanza organica, quali le torbe. Si possono 
estrapolare le seguenti fasi (Grisolia et al, 1995b): 
• Fase 1: rapida deformazione iniziale, con riduzione della macroporosità per effetto dello 
assestamento dei materiali molto deformabili; 
• Fase 2: assestamento degli elementi molto deformabili; 
• Fase 3: deformazioni lente (creep) e inizio della decomposizione della componente organica; 
• Fase 4: completamento della decomposizione della sostanza organica; 
• Fase 5: deformazioni residue. 
 
2.1 Modelli per il calcolo dei cedimenti 
 
Riferendoci ora al comportamento degli ammassi di RSU in discarica, il monitoraggio e l’analisi 
di casi reali consentono di suddividere il cedimento totale in tre componenti principali (Wall et 
al, 1995): 
 
stot = si + sp + ss 
 
L’entità del cedimento totale stot può raggiungere valori del 20-40% di H0 del cumulo di rifiuti. 
 IX - 4
 
 
 
Figura 3. Curva di consolidazione ideale (Grisolia et al, 1995b) 
 
La prima componente del cedimento totale si è dovuta alla cosiddetta compressione iniziale, 
che si sviluppa immediatamente dopo l’applicazione di un carico esterno. E’ generalmente 
associata alla riduzione dei vuoti dovuti alla compressione istantanea degli elementi costituenti il 
rifiuto. La componente si è analoga alla compressione elastica delle terre: per questo motivo non 
la si può osservare nei grafici che riportano i cedimenti registrati in discariche reali. 
Per il calcolo del cedimento si si sfruttano le procedure di calcolo usate per stimare i 
cedimenti immediati delle fondazioni, basate sulla teoria dell’elasticità e sul modulo di elasticità 
Es del rifiuto: 
s
0
i E
Hq
s
⋅∆= 
 
dove si sono indicati con ∆q l’incremento di carico, H0 l’altezza iniziale dello strato di rifiuti. 
Dall’esame dei risultati di numerose prove di compressione, condotte in laboratorio con celle 
di grandi dimensioni, il modulo di elasticità Es sembra variare tra 8 e 12 volte il valore della 
tensione verticale applicata σ, espressa in kPa (Wall et al, 1995). Il modulo di elasticità così 
ottenuto si riferisce a curve di compressione vergine e fornisce pertanto un riferimento sul 
comportamento di rifiuti indisturbati e normalmente consolidati (Jessberger et al, 1993). 
Per quanto riguarda invece la stima della seconda sp e della terza ss componente del 
cedimento totale esistono in letteratura diversi modelli, più o meno complessi, derivati 
dall’applicazione diretta della meccanica delle terre ai rifiuti. 
L’analisi e l’interpretazione dei cedimenti di discariche reali, eseguita con i diversi metodi 
disponibili, ha indicato una grande dispersione dei risultati ed una maggiore affidabilità dei 
metodi basati su osservazioni dirette in sito piuttosto che su prove di laboratorio, condotte su 
provini di piccole dimensioni. Questo perché lo svolgimento delle prove risulta necessariamente 
troppo rapido rispetto ai tempi reali di trasformazione dei rifiuti; inoltre è impossibile riprodurre 
in modo significativo le condizioni reali ambientali che influiscono in maniera assai rilevante 
sulla evoluzione dei cedimenti (precipitazioni, temperature, ecc.). 
 
2.1.1. Modello di Sowers 
 
Il modello di Sowers risulta ancora oggi il più usato, facendo esso ampio riferimento ai concetti 
della compressione in condizioni edometriche, ben note in campo geotecnico. 
Tale modello prevede l’uso di due espressioni separate: la prima fornisce il cedimento dovuto 
alla compressione primaria, la seconda quello causato dalla compressione secondaria. 
 IX - 5
La compressione primaria è legata principalmente all’espulsione dell’acqua e dei gas dai 
vuoti presenti all’interno della struttura dei rifiuti. Il cedimento dovuto alla compressione 
primaria avviene generalmente in tempi rapidi, di solito entro i primi 30 giorni che seguono 
l’applicazione del sovraccarico (Morris et al, 1990). Tale durata, comunque, data la complessità 
del fenomeno e le numerose condizioni al contorno che incidono su di esso, può risultare 
estremamente variabile (anche 5 anni dopo la chiusura della discarica). Per descrivere la 
compressione primaria si usano solitamente le ipotesi assunte da Terzaghi nello studio della 
consolidazione monodimensionale delle terre coesive sature, sebbene i rifiuti solidi urbani: 
• di rado si trovino in condizioni di completa saturazione per effetto del sistema di copertura; 
• non manifestino rilevanti differenze di comportamento in condizioni di totale o parziale 
saturazione (Wall et al, 1995); 
• presentino permeabilità simili a quelle delle terre granulari. Pertanto l’applicazione di un 
carico esterno provoca variazioni di pressione neutrale che vengono velocemente dissipate. 
La compressione primaria avviene simultaneamente con il processo di compressione 
secondaria: l’entità del primo fenomeno, comunque, inizialmente è maggiore e tende a 
mascherare gli effetti del secondo. Ecco perché i due tipi di compressione vengono qui modellati 
separatamente. L’espressione fornita da Sowers è la seguente: 
 
0
0
0
c
ip p
pp
log
e1
C
Hs
∆+⋅+⋅= 
dove si sono indicati con: 
• Hi = altezza dello strato di rifiuti dopo la compressione iniziale; 
• Cc = indice di compressione primaria; 
• e0 = indice dei vuoti dopo la compressione iniziale; 
• p0 = pressione esistente a metà dello strato; 
• ∆p = incremento di pressione a metà dello strato. 
Ad essere rigorosi le tensioni utilizzate nel calcolo dovrebbero essere quelle efficaci: in realtà, 
la massa di rifiuti di una discarica raramente si trova in condizioni sature (questo può accadere 
solo in prossimitàdello strato impermeabilizzante inferiore, dove è presente una maggior 
quantità di percolato). Pertanto è accettabile utilizzare le tensioni totali. 
Per quanto riguarda l’indice Cc, Sowers fornisce le seguenti espressioni in funzione 
dell’indice dei vuoti e0 e del contenuto di sostanza organica: 
• Cc = 0,15⋅e0 (basso contenuto organico) 
• Cc = 0,55⋅e0 (alto contenuto organico) 
L’indice iniziale dei vuoti e0 assume valori compresi tra 2 (rifiuti ben compattati) e 15(rifiuti 
non compattati), a cui corrispondono, supponendo un contenuto d’acqua iniziale w0 variabile 
mediamente fra il 15 ed il 40% (Sharma et al, 1994), pesi di volume γ dell’ordine dei 6÷12 
kN/m3. 
Per quanto riguarda, invece, la compressione secondaria, essa è generalmente dovuta al 
comportamento viscoso dello scheletro solido del rifiuto ed alla biodegradazione della sostanza 
organica. Il cedimento secondario può protrarsi per moltissimi anni dopo la chiusura della 
discarica (anche 50 anni), e costituire la componente principale del cedimento totale (Coduto, 
1990). Per il suo calcolo Sowers fornisce la seguente espressione: 
 
pp
ps t
t
log
e1
C
Hs ⋅+⋅=
α 
dove si sono indicati con: 
• Hp = altezza dello strato di rifiuti dopo la compressione primaria; 
• Cα = indice di compressione secondaria; 
 IX - 6
• ep = indice dei vuoti dopo la compressione primaria; 
• t = tempo dopo il quale si vuole calcolare il cedimento; 
• tp = durata della fase di compressione primaria (solitamente 30 giorni). 
Per quanto riguarda l’indice di compressione secondaria Cα, Sowers fornisce le seguenti 
espressioni in funzione delle condizioni ambientali favorevoli o meno alla decomposizione della 
sostanza organica: 
• Cα = 0,03⋅ep (condizioni sfavorevoli) 
• Cα = 0,09⋅ep (condizioni favorevoli) 
 
2.1.2. Modello di Bjarngard ed Edgers 
 
In analogia con quanto avviene nelle terre organiche, l’indice di compressione secondaria Cα può 
variare col trascorrere del tempo. Il seguente modello prevede, appunto, la suddivisione della 
fase di compressione secondaria in due sottofasi (compressione secondaria intermedia e 
compressione secondaria di lungo periodo), ognuna delle quali caratterizzata da un valore 
diverso dell’indice Cα (Cα(1) e Cα(2)): 
 
2
3
2
)2(
1
2
1
)1(
0
0
0
c
t
t
log
e1
C
t
t
log
e1
C
p
pp
log
e1
C
H
H ⋅++⋅++
∆+⋅+=
∆ αα 
 
dove si sono indicati con: 
• ∆H = cedimento totale; 
• H = altezza iniziale dello strato di rifiuti; 
• ∆H/H = deformazione verticale; 
• p0 = pressione esistente a metà dello strato; 
• ∆p = incremento di pressione a metà dello strato; 
• Cc = indice di compressione primaria; 
• Cα(1) = indice di compressione secondaria intermedia; 
• Cα(2) = indice di compressione secondaria di lungo periodo; 
• e0 = indice dei vuoti iniziale; 
• e1 = indice dei vuoti dopo la compressione primaria; 
• e2 = indice dei vuoti dopo la compressione secondaria intermedia; 
• t1 = tempo di durata della compressione primaria; 
• t2 = tempo di durata della compressione secondaria intermedia; 
• t3 = tempo dopo il quale si vuole calcolare il cedimento. 
 
2.1.3. Modello di Gibson e Lo - Power Creep Law 
 
I modelli fin qui illustrati distinguono la compressione del rifiuto in una fase primaria e una 
secondaria, trattando ciascuna di esse con differenti equazioni matematiche. 
Nel lungo periodo, come è già stato fatto osservare, la compressione secondaria risulta 
maggiore di quella primaria e, spesso, risulta difficile distinguerle in maniera netta. Perciò sono 
stati proposti dei modelli che riuniscono in un’unica espressione gli stadi successivi che 
caratterizzano la deformabilità del rifiuto. 
Il primo modello che viene presentato è quello di Gibson e Lo, basato su studi reologici. La 
reologia che, nella sua accezione più ampia, è lo studio della deformazione dei corpi naturali, ha 
lo scopo di classificare le proprietà materiali dei corpi dal punto di vista meccanico, di indicare 
le metodologie sperimentali più adatte per la determinazione di tali proprietà e di costruire 
 IX - 7
modelli, matematicamente completi, atti a rappresentarle in modo conveniente (Burghignoli, 
1985). 
Tale modello è un modello reologico complesso composto da una molla di Hooke in serie con 
un corpo di Kelvin (il corpo di Kelvin è costituito da una molla di Hooke in parallelo con un 
ammortizzatore di Newton). Esso è descritto in Figura 4 ed è caratterizzato dalla seguente 
espressione per il calcolo del cedimento: 
















−+⋅σ∆⋅=ε⋅= ⋅
λ− t
be1baH)t(H)t(s 
dove si sono indicati con: 
• s(t) = cedimento al tempo t; 
• H = altezza iniziale dello strato di rifiuti; 
• ε(t) = deformazione verticale al tempo t; 
• ∆σ = sforzo di compressione verticale; 
• a = parametro di compressione primaria; 
• b = parametro di compressione secondaria; 
• λ/b = velocità di compressione secondaria; 
• t = tempo trascorso dall’applicazione dello sforzo ∆σ. 
 
 
 
Figura 4. Modello reologico di Gibson e Lo (Burghignoli, 1985) 
 
Quando l’incremento di sforzo ∆σ agisce sul modello, la molla di Hooke, con costante 
elastica a, si comprime istantaneamente (fase di compressione primaria). La compressione del 
corpo di Kelvin viene ritardata dalla presenza dell’ammortizzatore idraulico di Newton, con 
viscosità λ/b. Tale ammortizzatore, che inizialmente sostiene parte dello sforzo ∆σ, trasferisce 
progressivamente il suo carico alla molla posta in parallelo. Al termine del processo, dopo molto 
tempo, l’intero sforzo ∆σ è sostenuto dalle due molle (fase compressione secondaria). 
I valori di a, b e λ/b variano con il tipo di discarica e possono essere stimati attraverso delle 
analisi di regressione, basate sull’andamento dei cedimenti della discarica (o meglio di una parte 
della discarica) dopo la sua chiusura. 
Il secondo modello è definito Power Creep Law, ed è caratterizzato da una semplice 
espressione, capace di descrivere il comportamento viscoso di molti materiali: 
n
rt
tmH)t(H)t(s 


⋅⋅σ∆⋅=ε⋅= 
dove si sono indicati con: 
• s(t) = cedimento al tempo t; 
• H = altezza iniziale dello strato di rifiuti; 
 IX - 8
• ε(t) = deformazione verticale al tempo t; 
• ∆σ = sforzo di compressione verticale; 
• m = compressibilità di riferimento; 
• n = velocità di compressione; 
• tr = tempo di riferimento introdotto nell’eq. per renderla adimensionale rispetto il tempo; 
• t = tempo trascorso dall’applicazione dello sforzo ∆σ. 
I valori di m ed n, come nel caso precedente, variano con il tipo di discarica e possono pure 
essere stimati attraverso delle analisi di regressione, basate sull’andamento dei cedimenti della 
discarica dopo la sua chiusura. 
Il parametro m è compreso tra 3.4x10-5 kPa-1 (per rifiuti vecchi) e 2.5x10-5 kPa-1 (per rifiuti 
recenti), mentre n varia tra 0.37 (per rifiuti vecchi) e 1.17 (per rifiuti recenti) (Edil et al, 1990). 
 
3. IL PRE-TRATTAMENTO MECCANICO-BIOLOGICO 
 
Il ricorso alla discarica controllata dovrebbe essere preferibilmente minimizzato ed i rifiuti 
conferiti dovrebbero possibilmente essere pre-trattati al fine di ridurne i volumi e la potenziale 
pericolosità ambientale (percolato e biogas). Le metodologie di pre-trattamento possono essere 
schematicamente suddivise in due categorie: 
• pre-trattamento termico (incenerimento); 
• pre-trattamento meccanico-biologico (MBP). 
Tali metodologie possono essere applicate singolarmente o far parte di un processo integrato: la 
Figura 5 esemplifica alcune possibilità tecnologiche di pre-trattamento (Soyez et al., 1997). 
Il pre-trattamento meccanico-biologico consiste in due fasi distinte:: 
− pre-trattamento meccanico: è una fase importante poiché è presupposto fondamentale per le 
successive ed eventuali fasi di trattamento biologicoe termico; include le seguenti operazioni: 
 
 
 
 
Figura 5. Tecnologie di pre-trattamento dei rifiuti 
• rimozione degli elementi pericolosi ed ingombranti, di quelli riutilizzabili e dei materiali 
ferrosi; 
 IX - 9
• suddivisione in classi di materiali, le quali possono essere trattate in maniera specifica (la 
separazione può avvenire con particolari vagli, con maglie da 60-100 mm); 
• creazione delle migliori condizioni per il successivo processo biologico: triturazione, 
raggiungimento del contenuto d’acqua ottimale, ecc..; 
− pre-trattamento biologico: si suddivide essenzialmente in (Leikam et al., 1997): 
• processi aerobici: la sostanza organica viene trasformata, con rilascio di calore, in anidride 
carbonica, acqua e biomassa; 
• processi anaerobici: ulteriore trasformazione in biogas e residui. 
Quanto detto viene riassunto nella seguente Figura 6. 
 
 
Figura 6. Il pre-trattamento meccanico-biologico 
 
Il compito fondamentale del trattamento biologico è quello di ottenere la massima 
decomposizione della sostanza organica presente nel rifiuto, al fine di diminuirne il più possibile 
la sua pericolosità in discarica. E’ interessante osservare in che misura il pre-trattamento del 
rifiuto influisca sulla qualità del percolato e sulla quantità di biogas prodotti. 
Il trattamento meccanico-biologico determina anche una sostanziale riduzione della massa dei 
rifiuti principalmente dovuta alla diminuzione del contenuto d’acqua ed alla degradazione di 
parte della sostanza organica. Tale riduzione, in base allo specifico processo di pre-trattamento 
usato, può essere dell’ordine del 20÷40%. 
Per quanto riguarda il peso di volume, i rifiuti pre-trattati biologicamente raggiungono in 
discarica, dopo un’idonea compattazione, valori di 12÷16 kN/m3. 
Come conseguenza di quanto detto, il rifiuto pre-trattato, se paragonato al rifiuto che non 
subisce alcun tipo di trattamento, permette di risparmiare notevoli quantità di volume una volta 
depositato in discarica. Si osserva, infatti, una riduzione del volume occupato del 20÷30% a 
causa della riduzione di massa, ed una riduzione fino anche del 30% dovuta all’aumento di 
densità, per un totale del 50÷60%. 
Infine è possibile affermare come il processo di pre-trattamento meccanico-biologico migliori 
in maniera considerevole le caratteristiche di deformabilità dei rifiuti: gran parte dell’entità del 
cedimento totale può essere infatti evitata come evidenziato nella Fig.7, che riporta osservazioni 
su cumuli reali di rifiuti pre-trattati in modi differenti (Bidlingmaier et al, 1997). 
 
 IX - 10
 
Figura 7. Cedimenti di rifiuti pre-trattati 
 
Il cumulo di rifiuti pre-trattati meccanicamente e biologicamente fa registrare, in superficie, 
un cedimento totale inferiore di oltre il 50% rispetto a quello che caratterizza i rifiuti trattati solo 
meccanicamente. Inoltre, il primo tipo di rifiuti sopporta in maniera nettamente migliore 
l’aggiunta di un sovraccarico, rappresentato in Fig.7 dall’improvviso aumento di pendenza della 
curva: il cedimento susseguente ammonta a circa il 30% di quello maturato dal secondo tipo di 
rifiuti. 
La differenza fra il trattamento meccanico e quello meccanico-biologico risulta ancora più 
evidente se si considera la Figura 8: essa riporta il cedimento per unità di carico maturato da 
cumuli di rifiuti di diversa altezza e caratterizzati da diversi trattamenti. 
 
 
 
Figura 8. Cedimenti di rifiuti pre-trattati per unità di carico 
 
4. LO STRATO DI COPERTURA GIORNALIERA DEI RIFIUTI 
 
E’ prassi comune ricoprire giornalmente i rifiuti depositati in discarica con strati di materiale 
granulare permeabile, al fine di evitare, durante la fase di coltivazione, che il vento disperda il 
rifiuto al di fuori della discarica, l’ingresso di animali indesiderati (roditori, uccelli ed insetti), ed 
infine quello di fornire al rifiuto sottostante ulteriori pressioni di sovraccarico. 
Una tipica procedura consiste nel disporre ≈60 cm di rifiuti compattati intervallati da strati di 
copertura giornaliera di 15 cm di spessore (ovviamente gli spessori possono essere anche di 
 IX - 11
molto diversi a seconda delle procedure di compattazione). 
Un’analisi semplicistica dei cedimenti potrebbe portare a pensare che gli strati di copertura 
giornaliera si deformino indipendentemente dagli strati dei rifiuti circostanti, rimanendo 
largamente intatti e subendo un loro proprio processo di consolidazione. In effetti questo 
modello concettuale di comportamento non corrisponde a ciò che avviene realmente (Morris et 
al, 1990). Sebbene il materiale granulare occupi, inizialmente, una percentuale notevole del 
volume a disposizione (circa il 20%), osservazioni reali assicurano che tale percentuale 
diminuisce in maniera significativa col procedere dei fenomeni di deformazione. Questo è 
dovuto in parte minore alla compressione dello strato di copertura giornaliera, sotto il peso 
proprio e dei rifiuti sovrastanti ed, in parte maggiore, alla migrazione delle particelle granulari 
all’interno dei vuoti del rifiuto circostante. Il risultato netto di questi fenomeni è la riduzione del 
volume occupato dalla copertura di circa il 75%: si passa cioè dal 20% al 5% del volume totale. 
La densità conseguente del cumulo di rifiuti è decisamente maggiore di quella che si avrebbe in 
assenza degli strati di copertura (il terreno granulare è 2÷4 volte più denso del rifiuto). 
 
 
 
Figura 9. Sviluppo dei cedimenti in funzione della presenza 
o meno degli strati di copertura giornaliera. 
 
Spesso, al fine di aumentare la capacità totale della discarica, viene suggerito di aumentare lo 
spessore degli strati di rifiuti rispetto a quello della copertura giornaliera o, al limite, eliminare 
del tutto quest’ultima. Si pensa così di minimizzare il volume occupato dal terreno granulare; 
inoltre diminuendo il sovraccarico si vuole ridurre l’entità totale dei fenomeni di deformazione 
della discarica. In realtà, la perdita netta di volume a disposizione dei rifiuti dovuta alla presenza 
della copertura giornaliera (circa il 5% del volume totale) non sembra rappresentare un danno 
economico per l’operatore. Inoltre, il terreno granulare sembra apportare una serie di benefici 
alla deformabilità d’insieme del corpo dei rifiuti, come si può evincere dalla Figura 9. 
Nel caso di strati di copertura giornaliera di minimo spessore o, al limite, nel caso di assenza 
totale del terreno granulare, il cumulo di rifiuti, essendo sovraccaricato in maniera inferiore, 
presenta una bassa deformabilità durante la fase di coltivazione della discarica. Una volta, però, 
eseguita la copertura finale, la bassa densità del rifiuto è causa di ulteriori fenomeni di 
compressione la cui entità può provocare danni anche gravi alla stessa. 
La presenza, invece, di spessi strati di copertura giornaliera sembra essere causa di cedimenti 
maggiori dei cumuli di rifiuti in fase di coltivazione, compensando abbondantemente la 
riduzione del 5% della capacità totale della discarica. Inoltre, i processi di migrazione delle 
particelle granulari all’interno dei vuoti del rifiuto ne diminuiscono la compressibilità una volta 
eseguita la copertura finale, garantendo così una maggiore stabilità d’insieme ed una più 
semplice gestione della discarica esaurita. 
5. INFLUENZA DELLA BIODEGRADAZIONE SUI CEDIMENTI 
 IX - 12
 
La decomposizione della sostanza organica influisce in maniera sensibile sulla deformabilità 
d’insieme dei rifiuti solidi urbani; la sua azione si manifesta in maniera sempre più evidente col 
passare del tempo durante la fase di compressione secondaria. 
Per capire quanto la biodegradazione possa influire sull’entità del cedimento totale di un 
cumulo di RSU, bisogna considerare fondamentalmente tre elementi (Wall et al, 1995): 
• la quantità di sostanza organicache può decomporsi; 
• la velocità di decomposizione; 
• in che modo la decomposizione dei materiali solidi influisce sulla deformabilità. 
 
La sostanza organica presente in una massa di rifiuti è composta da componenti facilmente 
biodegradabili ed altri non biodegradabili (o meglio, degradabili molto lentamente). Si può 
approssimativamente dire che il 25-40% del peso secco di un campione di rifiuti solidi urbani 
può decomporsi biologicamente. Se parte di questo materiale solido si degrada e fuoriesce dalla 
discarica sotto forma di liquido o di gas, la deformabilità dell’ammasso ovviamente ne risente. 
Sarebbe estremamente utile correlare l’andamento nel tempo dei cedimenti di un ammasso di 
RSU con i principali processi che regolano la trasformazione della sostanza organica, quali 
(Grisolia et al, 1993): 
• il passaggio dalle condizioni aerobiche iniziali a quelle anaerobiche; 
• l’evoluzione delle condizioni anaerobiche, con l’insorgere del fenomeno dell’idrolisi ed il 
seguente passaggio alla fase anaerobica, con produzione di gas metano; 
• i processi di migrazione ed estrazione del gas prodotto. 
L’evoluzione di questi processi è ovviamente correlata alla variazione di volume del cumulo 
di RSU e, almeno sul piano teorico, può essere controllata sulla base delle variazioni delle 
caratteristiche chimiche e biologiche del percolato prodotto (pH, temperatura, COD, TOC, ecc..) 
e sulla base del tipo e della quantità di gas prodotto. 
Il fenomeno della biodegradazione, che consiste essenzialmente nella trasformazione delle 
particelle solide organiche in metano ed anidride carbonica (processo di metanogenesi) e si 
manifesta con la riduzione della massa solida, sembra direttamente legato all’aumento di velocità 
della compressione secondaria. Il passaggio dalla fase solida a quella gassosa avviene comunque 
attraverso una fase intermedia caratterizzata dalla presenza di prodotti di decomposizione allo 
stato liquido (fase governata dal fenomeno dell’idrolisi). 
Per esprimere la velocità di decomposizione si può allora utilizzare la seguente espressione: 
tke)0(C)t(C ⋅−⋅= 
dove si sono indicati con C(0) la quantità di sostanza organica biodegradabile, presente 
inizialmente nel rifiuto, con k una costante di velocità del primo ordine e con t il tempo. La 
costante k per la sostanza organica presente in discarica può essere assunta pari a 0.365 (espresso 
in anni-1) (Farquar et al, 1973). 
La relazione esponenziale può essere incorporata in uno dei modelli relativi al calcolo dei 
cedimenti illustrati in precedenza, sebbene questi ipotizzassero che la massa di materiale solido 
rimanga costante durante tutto il processo di deformazione. Utilizzando tali modelli il processo 
di biodegradazione viene ad essere inglobato nella fase di compressione secondaria; tale 
semplificazione risulta ammissibile per la difficoltà di distinguere, durante l’intero processo di 
deformazione di un cumulo di RSU, gli effetti di tutti i fattori che influenzano la velocità di 
biodegradazione (età e composizione dei rifiuti, fauna microbiologica, quantità di sostanza 
organica, temperatura, pH, permeabilità e umidità, presenza di inquinanti chimici). 
Per prevenire l’inquinamento dell’ambiente circostante il progetto di una discarica controllata 
prevede sistemi di impermeabilizzazione in sommità ed alla base, e sistemi di raccolta e 
rimozione del percolato e del biogas. Sapendo che l’umidità è uno dei principali fattori 
 IX - 13
responsabili della biodegradazione, si può affermare che il tempo di stabilizzazione della massa 
di rifiuti può essere maggiore rispetto a quello che caratterizza una discarica a cielo aperto, 
sebbene il legame umidità-velocità di degradazione non sia sempre direttamente proporzionale. 
Alcuni ricercatori (Wall et al, 1995) hanno studiato il comportamento dei rifiuti (in particolare 
la loro deformabilità) realizzando una discarica di prova impermeabilizzata in sommità ed alla 
base, composta da sei celle, tre bio-attive e tre bio-passive: 
• celle bio-attive: le condizioni ambientali erano favorevoli alla decomposizione dei rifiuti, con 
temperatura costante di 25 °C. Il rifiuto, inizialmente saturato con acqua distillata, era 
sottoposto settimanalmente al ricircolo del percolato; in occasione del ricircolo venivano 
aggiunti sali operanti da tamponi e fanghi di acque luride contenenti enzimi; 
• celle bio-passive: le condizioni ambientali erano tali da inibire il processo di 
biodegradazione, con temperatura costante di 4 °C e senza aggiunta né di acqua né di enzimi. 
Confrontando i comportamenti delle celle bio-attive e bio-passive si è osservato quanto segue: 
• prima dell’applicazione del sovraccarico, l’aggiunta dell’acqua distillata all’interno delle 
celle attive ha provocato un cedimento immediato di circa il 30%; 
• l’aggiunta di acqua ha modificato anche il comportamento del rifiuto dopo l’applicazione del 
sovraccarico, aumentando i cedimenti iniziale e primario. Il primo variava tra il 26% (attive) 
ed il 17% (passive). Il secondo (avvenuto nei primi 30 gg) è variato tra il 15% (attive) ed il 
12% (passive); 
• il cedimento secondario non è stato influenzato significativamente (almeno nei primi 220 
giorni di registrazione) né dall’aggiunta di acqua, né dalle condizioni favorevoli alla 
biodegradazione. Si è registrato un cedimento ulteriore del 4% per le celle attive e del 2% per 
quelle passive. Sembrerebbe che il suo contributo alla deformabilità complessiva dei cumuli 
sia stato oscurato da altri fenomeni, quali la formazione di legami fra le particelle del rifiuto 
o la creazione di uno scheletro solido fra gli elementi maggiori. 
Per comprendere e quantificare l’influenza della biodegradazione sulla deformabilità 
secondaria sull’entità dei cedimenti, si possono confrontare i risultati forniti dai modelli di 
previsione dei cedimenti con quelli forniti dal modello di previsione della velocità di 
decomposizione della sostanza organica. 
Il risultato ottenuto è stato riportato assieme alle previsioni fornite dal modello per il calcolo 
dei cedimenti secondari nella Fig.10 (la costante k viene fatta variare fra due valori limite). 
 
 
 
Figura 10. Confronto fra il modello di decomposizione del primo ordine ed il modello di 
calcolo dei cedimenti secondari. 
Si può notare come, inizialmente, la velocità della deformazione sia maggiore rispetto a 
quella della biodegradazione, ma poi rallenti considerevolmente: l’influenza della 
 IX - 14
decomposizione sulla 
deformabilità secondaria aumenta con il passare del tempo. Fintantoché la quantità di sostanza 
organica decomposta è relativamente bassa, si forma all’interno dei rifiuti uno scheletro solido, 
che, col passare del tempo e l’aumentare della decomposizione, si indebolisce fino al definitivo 
collasso dell’intera massa di rifiuti. 
 
6. CONCLUSIONI 
 
Alcune delle espressioni che correlano i cedimenti con il tempo hanno dimostrato, attraverso 
analisi a posteriori di casi reali, di riprodurre il processo deformativo di un cumulo di RSU in 
maniera soddisfacente. Rimane tuttavia la difficoltà di applicare tale espressioni in una fase 
precedente l’esercizio della discarica. Troppo numerosi sembrano essere infatti i fattori che 
influenzano in maniera assai rilevante i fenomeni di deformazione, legati sia alla composizione 
del rifiuto, sia alla gestione vera e propria della discarica. Di qui la difficoltà di assumere 
parametri di calcolo adatti al caso in esame. 
La ricerca attuale è principalmente rivolta a verificare se la biodegradazione e la 
compressione secondaria procedano nel tempo effettivamente come indicano i risultati 
estrapolati dai modelli. Solo osservazioni protratte per lunghi periodi possono, infatti, 
definitivamente chiarire il legame fra decomposizione e deformabilità. 
 
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